La scomparsa di un Pontefice della Chiesa cattolica, oltre ad essere un evento doloroso in sé, innesca un dramma ecclesiale.
Infatti, da un lato tra il Popolo di Dio e i Pontefici si instaura una sorta di rapporto filiale, specchio della confidenza dei fedeli che si affidano a Cristo e al suo rappresentante terreno, che non sempre si perpetua agli stessi livelli di intensità nell’avvicendamento dei Papi.
Dall’altro si aprono scenari di incertezza circa la continuità della linea dottrinaria e pastorale. Il Pontefice è, in verità, il difensore del Depositum Fidei e possiede il carisma della definizione della verità rivelata da Gesù agli apostoli e della sua retta interpretazione, attraverso il discernimento che egli esercita in comunione con i Vescovi in una dimensione sinodale. Ma ciò non esclude che la funzione dichiarativa prima ed ermeneutica dopo della Verità rivelata, anche se guidata dallo Spirito Santo, sia altresì influenzata dalla personalità del Pontefice in quanto uomo, in relazione alla sua autorità, ma soprattutto autorevolezza
Da questa semplice considerazione, derivano gli sforzi e le elucubrazioni circa il possibile nuovo Pontefice per comprendere se ci si muoverà in una dimensione di continuità o di rottura con il precedente.
Ciò puntualmente è accaduto anche con la scomparsa di Francesco, occasione nella quale si è perfino discusso dei segnali minimi che il nuovo Papà darà attraverso particolari apparentemente secondari: il nome che sceglierà, la foggia della Croce pastorale, l’uso degli appartamenti papali, la grandezza dell’auto di servizio etc., letti come anticipazione programmatica della linea che intenderà seguire.
Infatti, puntualmente, da secoli, alla morte di un Papa emerge la contrapposizione nella Chiesa di due indirizzi contrastanti (non chiamiamoli partiti o correnti ma “tendenze culturali”) che possiamo denominare (non descrivere) con i due sostantivi apparentemente contrapposti: progressisti (cioè innovatori ad ogni costo e modernisti ad oltranza), e conservatori, (cioè coloro che intendono difendere e preservare, cioè “conservare” i Valori e Principi provenienti dall’esperienza del passato.
La declinazione pratica dei propri Valori e Principi, diverge radicalmente tra le due culture, e il processo che conduce ad una eventuale alternanza di indirizzi è complesso e molto lungo. Una definizione immediata della tendenza culturale degli atti di Francesco, appare quindi, quanto meno prematura, e probabilmente inutile, perché anche un Papa in continuità ha comunque una sua linea personale.
In prospettiva un approfondimento su questo tema sarà essenziale per dare certezza e coerenza all’agire della Chiesa, che si esplica in settori intercomunicanti e reciprocamente condizionanti: teologico, pastorale, politico internazionale, essendo la Santa Sede come è noto anche un soggetto dell’ordinamento giuridico internazionale. I Valori e Principi sottesi all’agire in ciascuna funzione devono quindi essere coerenti e omogenei a un quadro culturale di riferimento comune, chiaro e certo, altrimenti l’agire della Chiesa potrebbe presentarsi come confuso e contraddittorio, con ricadute negative anche sulle certezze dottrinarie dei fedeli e sui rapporti internazionali.
Giungiamo quindi alla conclusone che sia le decisioni teologiche e etiche, sia quelle politiche assunte dal Papa scomparso costituiscono sempre fatti storici che si inseriscono nella storia universale, e come tali possono essere analizzati e giudicati solo in una prospettiva storica. Nell’analisi storica non si formulano giudizi morali o di giustizia o correttezza, ma solo di efficacia per il raggiungimento del fine che l’agente si era proposto, analizzandone quindi le conseguenze, specie non intenzionali.
Ma occorre considerare anche che il giudizio su un Pontificato non si esaurisce solo nell’analisi degli indirizzi e deliberazioni assunte da un Papa nell’esercizio delle sue funzioni.
Fondamentale, altresì, è la qualità del rapporto personale che si instaura tra i fedeli e il Pontefice.
Si è accennato ad un rapporto filiale che sempre si instaura tra i fedeli e il Papa, ma nel caso di Francesco esso è cresciuto di intensità sino a livelli eccezionali, che possiamo definire totalmente empatici.
Francesco, più che qualsiasi altro Papa del XX secolo (probabilmente più ancora che San. Giovanni Paolo II), ha distribuito e ricevuto una condivisione emotiva empatica con i fedeli, che ha contagiato perfino credenti di altre religioni o non credenti.
Quale il segreto di ciò? La genesi di questo rapporto privilegiato? Da esso può scaturire un legato ereditario per il suo successore?
L’empatia è una abilità sociale che permette la creazione di un rapporto di conoscenza profondo tra le persone facendo sì che almeno una di esse abbia la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependone, in questo modo, emozioni e pensieri. È l’abilità di vedere il mondo come lo vedono gli altri, essere non giudici austeri ma amici comprensivi, comprendere i sentimenti altrui mantenendoli però distinti dai propri.
E’ una abilità che, secondo la psicologia, è presente sin dai primi giorni di vita e si acquisisce e perfeziona gradualmente. E’ una forma di conoscenza dell’altro e come tale è un processo cognitivo, che può essere praticato, allenato, e in cui si può diventare esperti.
Francesco in ciò è stato maestro.
Ha empaticamente introiettato le due massime angosce dell’uomo contempero, senza distinzione di nazionalità o luogo in cui vive: la guerra, la povertà, e ha fornito loro delle risposte sul piano spirituale, l’unico di cui possa occuparsi un leader religioso
Quanto alla povertà, giova precisare che il termine è sincretico. Esso allude non solo alle situazioni di effettiva indigenza, ma a tutte le situazioni di emarginazione e discriminazione nelle quali alla persona sia negato qualcosa, dalla natura o dall’egoismo dell’uomo, per vivere invece la “ricchezza” della vita, dono inestimabile di Dio. Anche costoro sono “poveri” cioè mancanti di qualcosa essenziale nella loro vita. E tali sono quindi anche i migranti, i malati, i detenuti, i disabili, gli emarginati in qualsiasi forma, i così detti “ultimi”, che ultimi non sono agli occhi di Dio.
Relativamente all’angoscia di morte legata alla paura della guerra, Francesco ha ribadito il messaggio della pace come dimensione umana cristiana e quindi il rifiuto etico di essa, la sua considerazione come sconfitta di tutti, la speranza, che è certezza nella Fede, che la pace si realizzi alfine.
Relativamente alla paura della emarginazione e della indigenza, Francesco ha ribadito costantemente il chiaro messaggio del Vangelo che ritiene incompatibili tutte le forme di discriminazione alla luce della uguale dignità di tutti gli uomini, ed ha garantito che l’eliminazione di esse e quindi delle povertà economiche e spirituali è la priorità dell’azione della Chiesa.
Il compito che Francesco lascia al suo sconosciuto successore è quindi quello di approfondire, praticare e allenare il dono dell’empatia condividendo i sentimenti e gli stati d’animo dei fedeli e continuando a proclamare e rappresentare i bisogni sia materiali, sia soprattutto spirituali e trascendenti del Popolo di Dio, purché in piena compatibilità e continuità con la Dottrina della Fede come emergente dal Depositum Fidei, e tenendo conto anche dell’anelito ad una visione più spirituale, trascendente ed escatologica del Messaggio evangelico.