aaaa80dae5b28ed34ef62703fb93369a4f7c
UMANESIMO
CRISTIANO

Declinare i Valori Cristiani nella Società Aperta

GUERRA SANTA

GUERRA SANTA

Dalla fine del XVI secolo all’inizio del XVIII l’Europa è stata squassata dalle così dette “guerre di religione”.
Il termine è giustificato dalla constatazione che gli Stati coinvolta agivano sotto l’egida di una Fede (cattolica, calvinista, puritana etc.) diversamente caratterizzante i popoli coinvolti.
In realtà la religione professata non è mai stata il vero motivo della guerra. La guerra scatenata o subita ha sempre avuto solo motivazioni politiche, economiche, di occupazione di territori, di consolidamento del potere dei singoli Stati secondo le proprie strategie politiche e così via. Quand’anche la religione abbia avuto una funzione scatenante, essa non è stata da un lato che un pretesto, dall’altro, per aggressori e aggrediti, il necessario collante per il popolo in armi. È, infatti, abbastanza difficile convincere i cittadini o sudditi a sacrificare la propria vita in nome della ragion di Stato. Occorrono o motivi materiali egoisti di notevole momento (la promessa del saccheggio ad es.) o grandi ideali non negoziabili, come la difesa della propria famiglia o, appunto, la promessa della vita eterna. Non a caso i Romani adoravano la dea Roma come personificazione trascendente dello Stato.
Ciò non significa che la religione abbia giocato un ruolo marginale nelle guerre così chiamate, ma solo che nessuno ha mai dichiarato una guerra solo per far prevalere la verità del Vangelo cattolico di contro a quello protestante o al Corano, ma al contempo significa che invece molti uomini hanno combattuto per questo scopo e cioè che l’appello alla propria Fede ha costituito la giustificazione anche psicologica che ha alimentato l’odio (religioso) che è indispensabile per sostenere e giustificare la ferocia della guerra, non ostante che tutte le religioni predichino, convintamente, la pace.
Sembra quindi particolarmente evidente che quella che è in atto tra Israele e i (o alcuni dei) paesi del Medio Oriente sia una guerra di religione nel senso sopra descritto.
Prescindiamo dalle definizioni giuridiche di guerra, guerra asimmetrica, terrorismo etc. che forse mal si attagliano a questa realtà ultraottantennale, per andare al concreto della realtà umana: dall’una e dall’altra parte la gente muore per mano di un “nemico”, di là dalle definizioni giuridiche e dal Paese di provenienza. Giuridicamente o no, questa è di fatto guerra anche con i Paesi non formalmente coinvolti. Lo è perché possiede tutte le caratteristiche della guerra di religione così come le abbiamo accennate.
Prescindiamo anche dalla ricerca inutile delle responsabilità di questa situazione o dalla giustizia delle posizioni contrapposte. Queste riflessioni, infatti, non sono condotte con l’uso di categorie politiche, ma puramente culturali e sociologiche. Anche se decapitare bambini non sembra potersi ascrivere ad un comportamento in alcuna maniera giustificabile.
Il punto, però, è esattamente questo.
Giusto è un comportamento conforme alle regole penali, civili, morali, consuetudinarie, internazionali, di guerra etc., ciò che chiamiamo sincreticamente il “diritto” o ius. Esso è in tal caso un comportamento “ secoundum ius”. Ingiusto è il comportamento che viola un o più di queste norme, quindi è “contra ius”.
Giustificare significa, letteralmente, “iustum facere” “rendere giusto” un comportamento che è palesemente in violazione delle regole, cioè ingiusto, basandosi sulla presenza di circostanze particolari che autorizzerebbero a violare le norme per raggiungere uno scopo superiore o comunque legato ad interessi fondamentali, vitali, della collettività, talmente rilevanti da travolgere qualsiasi regola in nome del bene comune. La giustificazione, quindi, muta la natura stessa del comportamento, la cui sostanza si trasforma nel suo opposto.
Esistono realmente queste circostanze particolari giustificatrici? O meglio, è accettabile l’idea stessa di un meccanismo giustificatore? Purtroppo la risposta data dal sentimento dei popoli è affermativa e lo è soprattutto quando tali circostanze sono riportate ad una matrice religiosa.
Per illustrare il pensiero, si consideri che tra gli interessi di una Nazione sono compresi anche quelli etico-religiosi. Ogni popolo ha il diritto naturale di professare la propria Fede e di darle, all’interno della struttura statuale, il peso che ritiene opportuno, così come di desumere dai dettami religiosi i principi e valori etici cui conformarsi. La difesa della propria religione è un bene da conseguire e, quindi, per il suo raggiungimento il popolo è titolare di un interesse, alla stessa stregua degli altri interessi di natura materiale ed economica, ad es. avere l’accesso al mare per i propri traffici economici o all’acqua per la sopravvivenza delle genti etc., nel cui soddisfacimento, in regime di scarsità delle risorse, gli Stati entrano in conflitto.
Sussiste però tra l’interesse religioso e gli altri interessi politico- economici una sostanziale differenza. Questi ultimi sono negoziabili e compromissibili, quindi lo scontro per il loro soddisfacimento può, e deve, essere oggetto di mediazione per raggiungere un equilibrio soddisfacente per entrambi i contendenti, attraverso la diplomazia, le concessioni reciproche, il compromesso, nella convinzione fideistica che l’uomo tenda per sua natura alla pace, alla tranquillità, alla serenità, all’equilibrio dei rapporti.
Quando questo equilibrio non si riesce a raggiungere, per i motivi più svariati, insorge la violenza sostitutiva. Ciò che rileva sottolineare è, però, che la negoziabilità di tali interessi ne disvela la natura relativa quindi la loro rinunciabilità, totale o parziale, all’esito di un giudizio soggettivo di convenienza tra benefici e malefici conseguenti. In sintesi, essi possono essere oggetto di compromesso, come avviene con gli altri interessi nei rapporti quotidiani nella società aperta e nel mercato, ove alla fine della contrattazione si trova il prezzo soddisfacente per entrambi, che non a caso è definito dagli economisti il vero “prezzo giusto”.
Viceversa, quando nella trattativa si inserisce un elemento di assolutezza non negoziabile, allora l’unica soluzione è rispondere con lo strumento più assoluto tra tutti, perché definitivo e irrimediabile: la violenza della guerra.
Sin dagli albori del movimento sionista prima della seconda guerra, lo scontro in Medio Oriente ha avuto ad unico oggetto l’interesse per il possesso della terra, come in quasi tutte le situazioni belliche conosciute nella storia dell’umanità.
Nulla di originale o eccezionale. Nihil sub sole novi, verrebbe da dire, senonché, forse nella convinzione di accrescere la faretra di frecce a disposizione, su un interesse materiale compromissibile cioè di natura relativa, la classe dirigente islamica ha ritenuto opportuno a suo tempo sovrapporre un interesse non negoziabile di natura assoluta: la difesa e l’affermazione della propria religione. Quindi Israele, e con lui tutte le persone di Fede ebraica, si sono trasformati da avversari economici con cui si può trattare, in nemici religiosi che come tali non si possono perdonare, con cui non si può convivere, che occorre sterminare.
Infatti, nella logica perversa delle guerre di religione, ed è purtroppo storicamente provato, la “soluzione finale” è l’unico sbocco di una situazione di totale incompatibilità esistenziale di due assoluti trascendentali. È il rogo per salvarti l’anima della Santa (!?) Inquisizione.
Israele e gli ebrei sono così odiati non perché costituiscano uno Stato e un popolo che occupa una terra su cui si hanno delle pretese, ma in quanto tali, perché professanti una Fede. E tanto più perché la Fede degli Ebrei è salda e forte. Essi sono letteralmente “imbevuti” di Dio, lo pongono al centro della loro vita personale, familiare politica, così che il Dio di Israele non può convivere con Allah ché anzi essi sono vissuti dagli islamici, non teologicamente ma sentimentalmente, come se fossero due distinte divinità simili perciò concorrenti, come competitors nella proclamazione della Verità Assoluta.
Tutto ciò ha un nome il cui significato profondo si è perso nella banalizzazione giornalistica e del linguaggio comune: antisemitismo, termine che per altro taluni propongono di sostituire con quello forse più pregnante di antigiudaismo. “ Forma mentis” aprioristiuca, pregiudizio intoccabile non contro le singole persone (che pure sono quelle che muoiono!) ma verso una Fede, una Idea che sono tutt’uno con Israele.
Paradossalmente (sia permesso questo incidens) gli islamici odiano gli Ebrei perché vivono e convivono con Dio, sono il Popolo Eletto che per secoli ha tramandato la Fede nell’unico Dio, ed invece disprezzano i cristiani, perché tengono Dio fuori dalla loro vita familiare e politica e cianciano di accoglienza ed inclusione cambiando nome al Natale e chiamandolo “festa d’inverno” o abolendo il Presepe. Gli Ebrei sono troppo devoti, i Cristiani sono troppo poco devoti. La figura peggiore la facciamo noi.
In questa guerra di religione non possiamo che stare dalla parte degli Ebrei e di Israele. Non per senso di colpa nei confronti dell’Olocausto, come taluno malignamente insinua, ma perché la storia di Israele e il suo ruolo nella storia dell’umanità sono quelli che ha ben individuato San Giovanni Paolo II nella visita alla sinagoga di Roma il 13 aprile 1986: fratelli maggiori. Con loro, come tra tutti i fratelli nelle famiglie, si possono avere dissensi e screzi, rimanendo nelle proprie convinzioni, ma non si può dimenticare di appartenere alla stessa famiglia e di condividere almeno la storia dalle nostre origini. Più ancora che nei confronti di qualsiasi altro uomo dobbiamo dire che ciò che è fatto a loro è fatto anche a noi cristiani.
Allo stato attuale, purtroppo, non si vedono segnali di una resipiscenza morale del popolo islamico. Non resta che la fiducia nel Disegno di Dio che non ci è dato conoscere.
Un’ultima riflessone sull’atteggiamento della politica, segnatamente del Governo in carica, nei confronti della definizione di “guerra santa”.
Essa è rifiutata ed anzi è considerato una “trappola” aderire a questa tesi interpretativa. Chiari e condivisibili sono i motivi di questa prudenza politica attenta ad evitare una drammatizzazione sullo scacchiere interno ed esterno. Ma ancora una volta dobbiamo ricordare che i ragionamenti e le valutazioni si elaborano sulla base di categorie logiche appartenenti a piani diversi.
Le categorie della politica danno ragione della prudenza, ma le categorie della Storia e dell’etica impongono di non usare la tattica dello struzzo. Si scelgano le posizioni e le interpretazioni politiche più consone al raggiungimento dell’obbiettivo, ma non si trascuri di comprendere approfonditamente il fenomeno sotto il profilo teologico, storico, culturale, altrimenti la Storia ci potrebbe trovare intimamente impreparati a fronteggiare situazioni di crisi estrema.
La vera “trappola” è quella di negare anche nella nostra riflessione intima di istituzioni, di persone e di popolo, la natura di guerra di religione per trovarci poi tutti, istituzioni, opinione pubblica e popolo, sprovveduti al momento del bisogno.

Claudio Zucchelli

Articoli correlati

Save
Cookies user preferences
We use cookies to ensure you to get the best experience on our website. If you decline the use of cookies, this website may not function as expected.
Accept all
Decline all
Read more
NULL
NULL